sabato 4 agosto 2012

A volte ritornano parte seconda

Ok, ammettiamolo, la costanza non è proprio il mio forte: per quanti buoni propositi faccia, alla fine mi perdo sempre per strada. Con tutto, sia ben chiaro, non solo con il blog. In ogni caso se errare è umano ma perseverare è diabolico, dato il caldo di questi giorni non posso che sentirmi una diavolessa e quindi persevererò! Non voglio abbandonare questo spazio, non ho intenzione di lasciarlo finire tra le tante cose che ho iniziato e poi ho pigramente dimenticato in un angolo.
Dai, ci riproviamo!
Per oggi vi lascio con una ricetta super-semplice, rinfrescante e sana: il gelato crudista.
Il web ormai pullula di versioni di questa delizia, fatta solo con frutta congelata e poi tritata fino ad ottenere una composto simile al gelato. Credo che la presenza della banana sia fondamentale perchè è un frutto pastoso e poco acquoso che contribuisce a dare la giusta consistenza.

Ingredienti:
banana congelata a rondelle
frutti di bosco surgelati (li vendono in comodissime buste)

Nulla di più facile: ho affettato la banana e lasciata in freezer per almeno una notte a congelare. Poi l'ho messa in un tritatutto con una manciata di frutti di bosco surgelati. Consiglio di far riposare qulalche minuto fuori dal freezer la banana così sarà più facile tritarla. Tra una pulsazione del robot e l'altra ho smosso il composto con il cucchiaio per amalgamare meglio il tutto. Nella foto l'ho servito con un biscottino di pastafrolla ovviamente home-made.
Ovviamente largo alla fantasia: al posto dei frutti di bosco si può usare qualsiasi tipo di frutta, oppure solo banana a cui aggiungere nocciole e cacao...sperimentate, gente, sperimentate!
a presto spero!
Lucia

mercoledì 30 maggio 2012

alleggerirsi

No, non mi sto riferendo al desiderio diffuso di liberarsi dei chili di troppo soprattutto in vista della famigerata "prova costume" e nemmeno alla necessità, in questi giorni di gran caldo, di passare a indumenti meno pesanti, bensì all'aspirazione, che da qualche tempo nutro, di eliminare dalla mia casa tutti quegli oggetti che a ben vedere non servono a nulla ma che,  per abitudine o per incapacità di staccarsi dalle cose materiali anche di poco valore, tutti o quasi ci portiamo dietro, nonostante i traslochi, nonostante lo spazio negli appartamenti sia scarso, nonostante la manifesta inutilità di molte di queste cose. Senza arrivare all'essenzialità del monaco della storiella zen, il quale possedeva solo una ciotola per bere ma dopo che ebbe visto un bambino raccogliere l'acqua nelle mani a coppa buttò via anche quella, è fuor di dubbio che le nostre abitazioni sono stipate di soprammobili, elettrodomestici, orpelli più o meno ornamentali e talvolta francamente brutti, abiti che non indossiamo più, biglietti d'auguri e lettere di trent'anni fa.... Un po' l'età che avanza, un po' il fatto che avendo mamma e suocera molto anziane vedo avvicinarsi il momento in cui dovrò svuotare le loro case, mi portano a riflettere sulla necessità di fare spazio e di cominciare a privarmi di un po' di roba: come, non so, magari attraverso mercatini dell'usato, o regali a qualcuno più interessato di me a certi oggetti. Mi capita spesso di pensare come dovevano essere le case della gente umile un secolo fa: sicuramente ospitavano l'essenziale e non di più, tanto che per fare "San Martino", ossia per trasferirsi altrove, era sufficiente un carretto sul quale erano stipate le poche masserizie, come si vede nel bellissimo film "L'albero degli zoccoli". Certo il progresso ha portato invenzioni di cui sarebbe difficile fare a meno, ma tante altre non sono altrettanto necessarie; per non parlare della quantità di ninnoli, ricordini di viaggi, oltre all'esorbitante numero di piatti, posate, vasellame e suppellettili varie spesso ereditate da parenti e talvolta mai usate. Personalmente possiedo bicchieri sufficienti a un paio di squadre di calcio, riserve comprese, che  finora non hanno fatto altro che tintinnare sinistramente quando -purtroppo ultimamente abbastanza spesso - si avvertono scosse di terremoto. Proprio questa triste evenienza mi ha portato a pensare ancora di più a come le cose indispensabili per la vita siano davvero poche: nelle tende che in questi giorni ospitano gli sfollati non ci sono di certo soprammobili. Eppure, è anche vero che ci sono oggetti dai quali è difficile separarsi, ed è pure vero che anche in situazioni di emergenza le persone tendono a crearsi, magari solo attaccando al muro una foto o portando con sé qualcosa di personale anche inutile, uno spazio individuale, estremo brandello di una vita sconvolta dalla catastrofe.
In definitiva, occorrerebbe saper operare una scelta , domandandosi: "Ci  tengo davvero a questo oggetto? Rappresenta qualcosa di importante per me?" e sbarazzandosene allegramente e senza rimpianti se la risposta è negativa. E mi raccomando, se si butta via, non dimentichiamo di fare la raccolta differenziata!

rosy

lunedì 21 maggio 2012

storie che spariscono

Quando si è giovani non ci si rende conto del fatto che alla morte di una persona sparisce tutta una fetta di storia: non quella che leggiamo sui libri - a volte anche quella, se si tratta di gente che ha partecipato a qualche evento importante- ma quella quotidiana, umile e familiare di cui tutti facciamo parte. Aneddoti, modi di dire, curiosità sul tale parente, informazioni sull'aspetto di un luogo nel passato, vanno perdute se qualcuno non si è preoccupato di fissarle in qualche modo prima che il depositario di  questo tesoro se ne andasse per sempre.Ancora più triste è il caso in cui la persona, giunta ad un'età avanzata, non è più in grado di ricordare perché la sua mente è in preda alla decadenza dovuta alla senilità: il forziere c'è ancora, ma è sparita la chiave. Mi è capitato di riflettere su questo fatto in questi giorni per un episodio banale: dovevo controllare il contatore dell'acqua a casa di un'anziana parente ricoverata in clinica, ma non avevo la più pallida idea di dove si trovasse e dato che la sua memoria è gravemente compromessa e che le persone che vivevano con lei non ci sono più mi trovavo in difficoltà. In questo frangente mi hanno soccorso i vicini, ma ci sono casi in cui non c'è possibilità di ritrovare l'informazione perduta e questo può anche creare problemi dal punto di vista pratico, come nell'esempio del contatore, ma soprattutto dà una sensazione di perdita che genera malinconia, anche se si tratta solo di una storiella che il nonno raccontava e che ora nessuno ricorda più con precisione.
Mio padre aveva molti modi di dire particolari e pittoreschi; spesso infarciva il suo discorso con frasi e proverbi latini e inoltre amava narrare vicende di vita militare o scolastica. Mi capita a volte di ripensare ai suoi racconti e devo purtroppo constatare che se non li metterò per iscritto prima o poi comincerò a dimenticarli. Qualcuno potrebbe dire che non è una tragedia, ma la vita di una persona è fatta anche del suo bagaglio di ricordi che a volte risalgono a narrazioni ancora più antiche udite da nonni e bisnonni, e quando questa vita finisce è bello pensare che almeno una parte di essa sopravviva nella memoria familiare.  Per questo motivo mi ha sempre attirata l'idea di ricostruire il mio albero genealogico: non sono certo ansiosa di scoprire se ho antenati illustri, ma anche solo conoscere i nomi dei miei antenati, come erano composti i loro nuclei familiari,  quanti anni sono vissuti, mi farebbe sentire  più partecipe di una catena della quale ognuno di noi rappresenta un anello né migliore né peggiore degli altri ma come gli altri necessario alla continuazione della famiglia.

domenica 20 maggio 2012

Perle di terra

Un bel po' di tempo fa durante uno dei miei vagabondaggi sulle colline ho adocchiato della terra molto rossa che aveva l'aspetto e la consistenza del pongo: l'ho raccolta (immaginate la scena: una tipa che va in giro con un pugno di terra in mano!?). Non so che tipo di terreno fosse, forse argilla? Una volta giunta a casa ho iniziato a pensare a cosa potevo farci e subito mi è venuto in mente di ricavarne delle meravigliose perle. Aggiunta appena un po' di colla vinilica ho modellato delle palline di diverse dimensioni, le ho bucate con uno stuzzicadenti e le ho lasciate asciugare all'aria. Ovviamente si possono variare le forme a piacimento facendole piatte, ovali o cubiche, insomma come si preferisce. Quindi le ho colorate più o meno a metà con dei colori acrilici perlescenti che avevo acquistato qualche tempo fa in un famoso discount crucco. L'idea era di fare una sorta di color-blocking che è così di moda. Quindi le ho infilate in un cordino di finto cuoio comprato qui (questo sito è una meraviglia per tutte le crafters) fermandole con un nodo all'inizio e alla fine della serie. Et voilà, la collana di perle di terra è servita. Di certo più etica di quella di perle vere!



Vi lascio con la ricetta di un budinetto freshissimo di una facilità imbarazzante:

Dosi per 5 budinetti:
500 ml di succo di mela (o un mix tra succhi diversi, rigorosamente senza zuccheri aggiunti; io ho usato mela e ananas)
1 cucchiaino di agar agar in  polvere
frutta a piacere (qui fragole e kiwi)

Si incorpora a freddo in un pentolino l'agar agar con il succo, si porta il tutto a bollore, si abbassa la fiamma  e si lascia sul fuoco per  5 minuti. Nel frattempo si taglia la frutta a pezzettini e la si distribuisce in 5 stampini (i miei erano 2 di plastica e 3 di metallo). Quindi si versa il liquido negli stampini e si lascia raffreddare prima di riporre in frigorifero perchè si solidifichi del tutto. Io ho aspettato che il liquido non fosse più bollente prima di versarlo sulla frutta perchè non la cuocesse rovinandola, dato che ho usato le fragole che sono molto delicate. Finito: vi avevo detto che era semplicissimo! E si presta a numerose varianti di sapore: sperimentate, gente, sperimentate!

buona domenica a tutti :-)
Lucia

giovedì 15 marzo 2012

elogio della bicicletta

Ho cominciato a pedalare subito dopo aver mosso i primi passi: prima sul triciclo, poi su una biciclettina minuscola dotata delle classiche rotelle  laterali di sostegno. A quattro anni, di ritorno dalle vacanze estive in cui avevo visto il figlio del padrone dell'albergo, tale Mariolino mio coetaneo, che già andava senza rotelline, chiesi ai miei genitori di toglierle e imparai a stare in equilibrio su due ruote. Da allora di strada -in questo caso non metaforicamente! -ne ho percorsa tanta: la bicicletta è stata compagna di gite con le amiche, di esplorazioni solitarie della città dove frequentavo l'università, poi di giri con i bambini trasportati nell'apposito seggiolino. Ricordo il terrore di mia madre quando mi vedeva arrivare, all'epoca della mia terza gravidanza, con il pargolo di due anni davanti, la bimba di tre anni e mezzo dietro e il pancione in mezzo; mi dava della pazza mentre io, ridendo, proclamavo che stare in quattro su una sola bici era da Guinness dei primati. Forse ero davvero un po' sventata, ma la mia lunga esperienza di ciclista mi faceva sentire molto sicura e comunque, fortunatamente, non accadde mai nulla di spiacevole.
Amo la bicicletta per un sacco di motivi. E' silenziosa: se giri per la campagna puoi ascoltare tutti i suoni della natura e quando ti muovi non assordi gli altri. Non inquina: provate a immaginare quanto più pulita sarebbe l'aria di una città se la maggior parte delle persone lasciasse a casa l'auto e si spostasse su due ruote. Obbliga a fare un po' di movimento: un'oretta di pedalata ogni giorno ti mantiene in forma a costo zero (ma pare che molti non lo capiscano e così continuano a usare i SUV anche per andare dal parrucchiere e poi si lamentano dei chili di troppo e si iscrivono alla palestra). E' economica: l'unica energia di cui ha bisogno è quella delle nostre gambe, e in un periodo in cui i prezzi del carburante stanno salendo alle stelle non è poco. E' pratica: in una città non troppo grande come quella dove abito, con un po' di buona volontà si può arrivare in bici praticamente dappertutto e potendo percorrere anche molte vie precluse alle auto, spesso si arriva prima di chi è motorizzato, e si parcheggia  davanti alla propria meta, evitando gli estenuanti giri per trovare il posto auto che poi magari è a mezzo chilometro da dove devi andare.
Naturalmente non posso ignorare qualche inconveniente come la pioggia molto forte (per quella leggera ci si arma di mantella impermeabile e via ugualmente) o l 'impossibilità di trasportare  carichi pesanti o ingombranti: in questi casi riconosco che altri mezzi sono più idonei. Purtroppo un grosso problema è il traffico  veicolare poco amico delle due ruote, e non bastano le piste ciclabili per rendere sicura la vita dei ciclisti, resa ultimamente più difficile dalla proliferazione delle rotonde dentro le quali occorre fare particolare attenzione per non finire male. Un altro guaio è che le bici sono per i ladri una preda più facile che un'auto- difatti nella mia ormai lunga carriera di pedalatrice me ne sono vista sparire non so quante- e ritrovarle, quand'anche si fosse sporta denuncia, cosa che non sempre succede, è molto più difficile. Attualmente, per scoraggiare i malintenzionati, viaggio su un pezzo da museo generosamente fornitomi da un vicino di casa quasi novantenne che ripara bici per hobby: l'estetica non è gran che, ma è dotato di due cestini, uno anteriore l'altro montato sul portapacchi dietro la sella, ottimi per portare la spesa. Con questo mezzo antiquato ma funzionale mi muovo piacevolmente per la città e quando voglio sperimentare a buon mercato l'ebbrezza del volo, percorro un lungo viale alberato che corre, un po' sopraelevato, dove un tempo c'erano le mura e poi a un certo punto prendo uno svincolo laterale in forte discesa e...giù, senza mani: l'emozione è garantita. Spero solo che una volta o l'altra i freni non mi tradiscano!
rosy

venerdì 9 marzo 2012

gatti e libri

Nella mia biblioteca ben cinque scaffali sono dedicati ai libri che, in qualche modo, parlano di gatti. Non mi sono mai presa la briga di contare quanti sono i volumi; mi riprometto ciclicamente di stenderne  un elenco ben ordinato ma finora non ho realizzato il proposito. Dimensioni, provenienza, contenuto dei libri sono quanto mai vari: si va dalle storie per bambini riccamente illustrate con uno o più mici come protagonisti ai volumi di tipo enciclopedico che raccolgono tutte le informazioni, le curiosità, le notizie utili per un amante dei felini domestici, ai libri fotografici, alle opere che si occupano di specifici temi come "il gatto nell'arte" o "la psicologia del gatto". Buona parte di essi è in italiano ma ve ne sono anche in inglese, francese, tedesco, e addirittura in giapponese (frutto di un viaggio di mio marito nel Paese del Sol Levante), in portoghese (idem dal Brasile), in ceco. Ho cominciato la raccolta una trentina d'anni fa: ogni volta che si visitava una città, o si curiosava in un mercatino, era d'obbligo cercare qualche libro per rimpinguare la collezione. Sparsasi la voce, anche gli amici talvolta riportavano dalle loro trasferte all'estero qualche rarità.
 Non posso parlare di tutti i volumi, ma ne citerò qualcuno in base a criteri assolutamente personali. Ecco ad esempio "Mi Mi le fierot", in francese ma pubblicato a Pechino nel 1979 dalle "Editions en langues étrangères" e acquistato a Parigi nel settembre 1986 (fa fede la data da me scritta sul frontespizio): storia di un gatto dipinto che decide di uscire dal quadro e di andarsene in giro vantandosi di essere il più bel gatto del mondo; la sua superbia però verrà umiliata e alla fine capirà che se è così bello è merito di chi l'ha disegnato, di chi ha prodotto i colori e la tela... insomma, una favoletta pedagogica per esaltare il lavoro collettivo, decisamente molto cinese! Un altro curioso libretto, stavolta tedesco, "Katzen Flohmarkt" raccoglie immagini dei più disparati oggetti rappresentanti gatti: statuine, portacenere, scatolette di fiammiferi, cartoline, insegne di negozi... Pubblicato a NewYork è invece "The cat made me buy it!", con moltissime illustrazioni pubblicitarie d'epoca in cui un gatto aveva il ruolo di "testimonial"  Tra i prodotti reclamizzati, sigari, saponi, calze e perfino la Coca Cola. Voglio ricordare il volume "L'univers du chat", ricco di bellissime illustrazioni, soprattutto per le circostanze singolari grazie alle quali ne entrai in possesso: si tratta del "compenso " per la traduzione dal francese da me fatta qualche anno fa del complicatissimo testamento che la zia , vissuta a Parigi per molto tempo,  di una coppia di amici, aveva lasciato. Molto più semplicemente è stato acquistato in una libreria della mia città  "Joseph e Chico",  la storia di papa Benedetto XVI raccontata da un gatto! Si tratta di un grosso soriano realmente esistito che viveva nella casa accanto alla quale Joseph Ratzinger trascorreva le vacanze quando era cardinale, e per il quale il futuro Papa pare avesse una speciale predilezione.
Se dovessi dire a quale dei libri contenuti nei cinque scaffali sono più affezionata, credo che ne sceglierei due. Uno, "Tre gattini e una civetta", era la passione di mia figlia maggiore che mi chiedeva insistentemente di leggerglielo e che un giorno riuscì a strapparne in parte una pagina, la quale fu poi riparata da me con il nastro adesivo che ancora si può vedere assieme alla scritta "Lucia ruppe, la mamma restaurò-26/3/87". L'altro, "The church mice at bay", acquistato a Londra nel 1985, è una storia deliziosa piena di humour britannico, con illustrazioni piene di particolari irresistibili  e con protagonista il gattone rosso del reverendo, alleato con i topi per rendere la vita impossibile  (riuscendo alla fine a farlo scappare) al giovane sostituto del pastore che ha portato nuove abitudini non gradite in canonica.
La mia collezione ha il pregio di  accoppiare due delle mie grandi passioni, libri e gatti appunto. Se poi mi siedo in poltrona tranquilla e rilassata a sfogliare uno di questi bei volumi con accanto Emily che fa le fusa, beh, è un momento di quasi perfetta felicità!
rosy

giovedì 8 marzo 2012

Andar per mercatini

Bazzico i mercatini dell'antiquariato (dove poi la merce in vendita non è soltanto antica ma semplicemente usata o di qualche decennio fa) fin da tempi non sospetti, quando il vintage non era ancora una moda; ci andavo con i miei genitori, mio padre alla ricerca di libri su arte e viaggi, mia madre nel vano tentativo di arginare i suoi sconsiderati acquisti, mentre io mi riempivo gli occhi degli oggetti più disparati: macinini da caffè, vecchie chiavi arrugginite, telefoni anni '50, gioielli dal gusto retrò, credenze della nonna.
Ho la fortuna di avere alcuni paesi della mia provincia che li organizzano a rotazione nelle varie domeniche di ogni mese e continuo a frequentarli soprattutto perchè apprezzo la filosofia che ci sta dietro, quella del riuso. Mi sembra del tutto privo di senso che qualcosa che non serve più o non piace a qualcuno o non trova più spazio in un ambiente debba essere buttato via, quando invece è ancora possibile utilizzarlo. Anzi secondo me l'oggetto in questione si carica del valore aggiunto di una storia sulla quale volendo è possible fantasticare, immaginando ad esempio a quale anziana signora sarà appartenuto il medaglione d'argento che ho acquistato e quale fotografia avrà custodito.
Gli articoli di cui vado a caccia sono libri e fumetti (Martin Mystère, a cui recentemente si è aggiunto anche Julia), capi di vestiario e borse, gioielli alla portata del mio budget. I miei ultimi affari sono stati una giacca e una borsetta anni '70, pagate rispettivamente 5 e 3 euro.

I prezzi a volte sono piuttosto sproporzionati o per eccesso o per difetto, capita che ti chiedano una cifra spropositata per qualcosa che vale molto meno o al contrario che, inconsapevoli del reale pregio della merce, offrano per pochi euro una vera rarità. E' il caso di un delizioso libretto del 1919 per insegnare l'inglese alle bambine francesi, con irresistibili illustrazioni d'epoca, scovato tra comunissimi tascabili moderni e venduto come questi a 1 euro. Uguale il costo di un golfino vintage, tra l'altro ancora col cartellino, probabilmente uscito dal polveroso magazzino di una merceria che ha chiuso i battenti.
Girando con pazienza e un po' di fortuna si possono portare a casa dei piccoli tesori. Se poi il prezzo ci sembra troppo alto si può sempre provare a contrattare...ma questo proprio non son capace di farlo.

martedì 6 marzo 2012

Torta macrobiotica di carote, cocco e datteri

Mia mamma ha sempre una certa diffidenza nei confronti dei miei esperimenti culinari senza zucchero: la sua lamentela "non è dolce" è diventato un tormentone che ormai dico io precedendola prima ancora che abbia assaggiato. Questa volta però non ha avuto motivo di pronunciarla perchè la mia torta è venuta dolcissima (anzi per me quasi troppo) senza un grammo di zucchero aggiunto!
La ricetta l'ho presa qui ma ovviamente l'ho modificata un po' e, modestamente, è venuta davvero una bomba:

2 cups farina integrale
1 cucchiaino di lievito
1 cucchiaino di bicarbonato
sale q.b.
una spruzzata di cannella e zenzero
punta di un cucchiaino di misto di spezie per dolci
1/2 cup di cocco grattugiato
1/2 cup di carota grattugiata (ho usato una carota)
1 cup 1/4 di succo di mela
1 cup di datteri (misurati interi col nocciolo)

Ho mescolato la farina, il cocco, il lievito e il bicarbonato, le spezie e il sale. Ho denocciolato e tagliato a pezzettini i datteri e li ho aggiunti al composto, quindi ho incorporato la carota grattugiata finemente. Infine ho ammorbidito il composto il succo di mela. Ho fatto cuocere in uno stampo da plum-cake oliato a 180° per circa 30 minuti.
La torta rimane leggermente umida per la presenza delle carote. I pezzettini rossicci che si vedono nella foto sono i datteri, quando si incontrano sotto i denti si sprigiona una dolcezza incredibile. La ricetta prevedeva anche le uvette ma sono del tutto superflue. Il trio carote-cocco-datteri si rivela assolutamente vincente!
Lucia

Suore epicuree?

Ho frequentato le elementari in un istituto di suore negli anni  '60. Su quel periodo potrei scrivere per ore ma non lo farò; voglio solo ricordare un episodio che mi è tornato alla mente poco tempo fa. Allora, come ora del resto, si facevano le recite scolastiche, alla fine dell'anno, forse anche a Natale. Erano spettacoli in cui un po' si recitava, un po' si cantava -come nei musical, o nei film di Walt Disney!-; le parti cantate erano accompagnate dal pianoforte, suonato da un'attempata signorina di nome Mariuccia. In terza la recita, di cui non rammento assolutamente la trama (cosa pretendete: sono passati quasi cinquant'anni!)  prevedeva ad un certo punto l'entrata in scena di un "coro di pasticcere viennesi" di cui anch'io facevo parte, sobriamente abbigliate in gonna a pieghe blu, camicetta bianca e un grembiulino pure bianco. Ho detto che non ricordo l'argomento della pièce ; in compenso però ho stampato in mente (misteri della memoria)  gran parte del testo della canzone che cantavamo: "Ecco vassoi d'argento /tutti ricolmi di specialità /belle e profumate/ son le tartine che portiamo qua..." Fin qui, nulla di particolare, ma arriviamo al finale: "Tra le novità che noi creiamo potrai scegliere/ e dimenticar così gli affanni e i dispiacer. /Non convien soffrir, meglio assai gioir, e della vita/coglier solo quello che può dar la felicità!"
Ora, se c'era un tasto sul quale le buone suore battevano quotidianamente, era quello del sacrificio, del fioretto, della rinuncia. Sembrava che essere felici fosse una colpa, da scontare infliggendosi qualche mortificazione, privandosi di qualche seppur lecito piacere.  Tutt'altra logica era sottesa all'esortazione cantata dalle pasticcere: un invito a cogliere solo le gioie della vita, quasi un carpe diem di oraziana memoria. Noi ignare educande ovviamente pronunciavamo quelle parole senza riflettere sul loro significato, e solo adesso a distanza di tempo mi sono fermata a meditare sulla contraddizione tra esse e quanto ci veniva inculcato quasi ossessivamente. Ma una domanda mi sorge spontanea; le suore avranno mai letto il testo di quella canzone? Ho paura di no, altrimenti con ogni probabilità avrebbero ripiegato su un altro spettacolo: magari la vita (e la morte) di S. Maria Goretti...
rosy

lunedì 5 marzo 2012

il destino di una lettrice

Qualche giorno fa, su una bancarella di un mercatino dell'antiquariato, ho visto diversi volumi della "Scala d'Oro". Per i più giovani che probabilmente non ne hanno mai sentito parlare: si tratta di una collana di volumi, circa 80, per bambini e ragazzi graduati secondo l'età, dai 6 ai 14 anni, pubblicata all'inizio degli anni '50, che comprendeva anche grandi romanzi come "I miserabili" o "Guerra e pace" adattati nella mole e nel linguaggio per lettori giovanissimi. Doveva essere, immagino, uno strumento per avvicinare, fin dalla più tenera età, alla lettura non solo di libriccini scritti per l'infanzia ma anche dei capolavori di tutti i tempi. Ora, io posseggo TUTTA la "Scala d'Oro: mio padre l'acquistò quando ero piccolissima, se non addirittura prima che nascessi, probabilmente nella speranza che anch'io, come lui e la mamma, crescessi nell'amore per i libri e per la cultura. Ho ripensato a questo fatto e mi è sembrato bello, quasi commovente, che quest'uomo non agiato (era professore di latino; mia madre era casalinga, quindi non si nuotava nell'oro!) si preoccupasse di fornire alla figlia non solo tutto ciò di cui ha bisogno un bimbo per crescere sano, ma anche quello che una recente pubblicità-progresso definisce "cibo per la mente". Date queste premesse, credo fosse quasi impossibile che io deludessi le speranze familiari: in uno dei miei primi più vividi ricordi d'infanzia sono seduta nella veranda di casa con una fetta di pane, olio e sale in una mano e un libro nell'altra, così immersa nella lettura da non sentire i ripetuti richiami della mamma. Dovevo avere circa 5 anni, ma già da un anno avevo imparato (non chiedetemi come!) a leggere.. e da allora non ho più smesso di farlo. La mia casa è piena di libri, le mie serate più che della voce spesso petulante e fastidiosa della TV sono piene di quella sommessa e discreta degli autori che di volta in volta scelgo. La vecchia Scala d'Oro ha ancora il suo posto in uno scaffale e a volte mi capita di riguardare qualche volume -anche perché hanno bellissime illustrazioni- con un pensiero di nostalgia per l'infanzia e di gratitudine per i miei genitori.
rosy

domenica 4 marzo 2012

Spring rolls

Nella giornata meno primaverile degli ultimi giorni (il sole è spuntato solo dopo le 4) la primavera l'ho messa letteralmente nel piatto con degli involtini china-style, più che altro per smaltire le sfoglie di riso acquistate tempo fa e che sembrano non finire mai.
Mi sono ispirata alle ricette già presenti su veganblog.

per 10 involtini:
1/4 di verza bianca
mezzo porro
2 carote
una manciata di funghi porcini secchi (o shiitake)
2 cm. ca. di zenzero fresco
1/3 di cucchiaino di 5 spezie cinesi 
olio di sesamo
salsa di soia
10 sfoglie di riso per involtini primavera

Reidratate nell'acqua i funghi secchi per 30 minuti. Affettare sottilmente a rondelle il porro, tritare lo zenzero fresco e mettere tutto in un wok con un cucchiaio di olio di sesamo e le spezie. Fate stufare per circa 5 minuti finchè il porro non è morbido, quindi aggiungete la verza tagliata sottilmente a striscioline, le carote grattugiate (con una grattugia a fori grossi) e i funghi tritati grossolanamente a coltello. Aggiungere salsa di soia a gusto, coprire e far cuocere circa 10-15 minuti; va benissimo anche se le verdure rimangono un po' croccanti. Ammollate in acqua fredda le sfoglie di riso per circa 1 minuto (comunque finchè si ammorbidiscono), mettete al centro un cucchiaio di ripieno, quindi ripiegatele prima sui lati e poi dal fondo arrotolandole il più strette possibili. Mettere su una teglia con carta da forno e cuocere a 180° per 10 minuti circa, fino a che non assumono una sfumatura dorata e appaiono più croccanti.

Io ho servito con del ketchup home-made a sostituzione della salsa agrodolce che danno al ristorante. Volendo al ripieno si possono aggiungere del tofu, dei germogli di soia, o ancora delle zucchine quando è stagione. Insomma, largo alla fantasia!
Forse la foto fa un po' schifo, ma io le macchina fotografica non ci capiamo per nulla purtroppo...
Lucia

sabato 3 marzo 2012

Torta ubriaca al cacao, cioccolato e vino rosso

Giusto per smentire immediatamente i miei buoni propositi di eliminare il più possibile lo zucchero dai miei dolci, oggi ho preparato una torta davvero goduriosa che è riuscita proprio bene, soffice e profumata. Ho modificato una ricetta collaudata sostituendo al liquido previsto del vino rosso dolce, in questo caso bonarda amabile dei colli piacentini. Bando alle ciance, veniamo alla ricetta:

200 gr farina (ho usato la 00, che vergogna!)
125 gr zucchero di canna equo e solidale
30 gr di cacao amaro equo e solidale
1 cucchaino di bicarbonato
sale q.b.
cannella e spezie miste per dolci q.b.
vanillina o meglio estratto di vaniglia
60 gr olio di mais
200 ml di vino rosso dolce (ho usato della bonarda amabile; nell'originale era prevista acqua fredda)
cioccolato fondente tritato o gocce di cioccolato a piacere

Unire tutti gli ingredienti secch; in un'altra ciotola mescolare i liquidi tra loro e poi unire le due miscele. Unire il cioccolato grattugiato o le gocce di cioccolato. Versare nella tortiera oliata e infornare a 180° per 25-30 minuti (al solito fare la prova stecchino). 

 La dose che ho fatto io è per una minitortina dato che siamo solo in due e questo non è proprio un dolce da mangiare la mattina; ho usato 75 gr di farina e ridotto tutto in proporzione. Per la cucina si è sprigionato un profumo paradisiaco, la cannella e le spezie aggiungono un tocco che fa molto vin brulé. Insomma da rifare!

martedì 28 febbraio 2012

Macrotorta al grano saraceno e mele

Non paga della sfida posta dal fare torte vegane, cioè senza alcun ingrediente di origine animale (latte e derivati, uova, ecc.), ora il mio obiettivo è di cucinare dolci il più possibile privi di zucchero, consapevole del fatto che il saccarosio andrebbe evitato come la peste (magari ne parlerò in un post futuro). Questa ricetta devo averla trovata in giro per il web, probabilmente su veganblog, ma l'ho leggermente modificata (mi piace sperimentare in cucina e poi spesso non ho gli ingredienti e mi arrangio con quello che c'è in casa), metto l'originale e specifico tra parentesi le modifiche di questa volta:

400 gr farina (questa volta 150 di grano saraceno, 50 di riso e 100 di integrale)
100 gr nocciole tritate (le ho sostituite con le mandorle)
100 ml olio di mais
100 ml succo di mela
2/3 mele grattugiate (io le ho tritate a purea col mixer usato per le mandorle)
sale q.b.
3/4 di una bustina di cremor tartaro (ho messo invece un cucchiaino di bicarbonato)
200 gr uvetta (sono andata a caso, ne avrò messe due manciate)
scorza di limone (ho messo qualche goccia di estratto di vaniglia)

Si uniscono gli ingredienti secchi, poi si aggiungono olio e succo di mela prima miscelati, quindi le mele grattugiate, l'uvetta e le nocciole. L'impasto deve risultare piuttosto sodo, eventualmente regolatevi con altro succo di mela se necessario. Infornare a 180° per 30-35 minuti circa, fa comunque fede la prova stecchino.

L'ho fatta diverse volte, solo con farina integrale e con le nocciole, e mi è sempre venuta bene. Certo a chi è assuefatto allo zucchero potrà sembrare poco dolce, ma è solo questione di abitudine, per me è perfetta così.
buon appetito!
Lucia

lunedì 27 febbraio 2012

A volte ritornano

L'idea di questo blog è nata durante un giro in un famoso grande magazzino svedese di mobili, sedute su una panchina ad aspettare il bus navetta che ci avrebbe riportate in stazione; avevamo acquistato diverse stoffe con l'obiettivo di farne borse e borsellini e, forse obnubilate dalle spezie contenute nei famosi biscottini acquistabili al reparto alimentari, ci è venuta la malsana idea di condividere le nostre creazioni sulla rete. Purtroppo, dato il mio carattere rinunciatario e incostante, il blocco dello scrittore di Rosy e data la partenza per nuovi lidi di Chiara, queste pagine sono state abbandonate. Adesso però ci riproviamo: Chiara è sempre via, quindi non potrà contribuire con le sue straordinarie ricette, cercherò di occuparmi io della parte culinaria postando gli esperimenti più riusciti. Spero che questo nuovo tentativo sia coronato da maggior successo!

Lucia